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transumanza 320x240Nei secoli passati in Europa l'allevamento ovino aveva una grande importanza socio-economica. Si pensi, a mo' d'esempio, alla Castiglia della Reconquista quando nel 1273 fu fondata la Mesta, potente lobby feudale di proprietari di greggi, formata per lo più da hidalgos e da monasteri padroni di armenti per migliaia e migliaia di capi ciascuno e dominata da poche famiglia della grande aristocrazia. Ogni socio versava alla Mesta una cifra annuale in base al numero di ovini posseduti tanto che con i fondi così raccolti venivano reclutati in tutta la Castiglia pastori salariati cui s'affidavano le greggi da portare al pascolo; tale regime iberico durò sino al 19° secolo. Rinomata la lana inglese acquistata dai mercanti fiorentini, come narra Boccaccio, ad alimentare il capitalismo europeo del fiorino. Pensiamo all'Appennino e alle Alpi dei tratturi di pastorale memoria propri della transumanza, il trasferimento stagionale del bestiame in pascoli di zone climatiche diverse, in genere in pianura d'inverno e in montagna d'estate (alpeggio), quando l'allevamento era prevalentemente semibrado; oggi è quasi scomparso.

La pastorizia ha sempre ispirato la letteratura (il genere bucolico) come dimensione amena del vivere ("Et in Arcadia ego"), il tipico fantastico fuori da ogni coordinata dell'uggiosità quotidiana. Così gli scrittori greci, quelli latini (su tutti le virgiliane Bucoliche), le belle lettere medievali, ma specialmente il Sannazzaro a fine '400 che reinventò l'Arcadia classica, tematica essenziale della letteratura di corte (si pensi solo alla tassiana Aminta) sino al secolo 18°, quando la concretezza dei lumi fece tramontare per sempre questo topos letterario. Eppure la poesia italiana non ha dimenticato l'ancestrale mondo pastorale, come d'Annunzio ben dimostra.

Da qualche anno sono tornate in Alto Polesine e nel Basso Mantovano le pecore migranti trentine e veronesi, specie sugli argini del Po tra Melara ed Occhiobello, Revere e Felonica, avendo come perno da gennaio in poi le belle zone rivierasche ed erbose castelnovesi, ricche di pioppi ed aree protette. Ai primi di febbraio sono arrivate le pecore della Sas, società agricola del 36enne Mirko Faben di Cherubine di Cerea. Nell'oasi fluviale lombardo-veneta di via Spinea intervistiamo brevemente il padre Giampaolo Faben spesso presente da queste parti, essendo conosciuto e stimato.

Chi siete?

"La nostra composita realtà aziendale – sottolinea l'imprenditore veronese – fu inventata nel 1950 da mio padre Giancarlo nel segno dell'amore per la natura. Adesso, in virtù di una decina di dipendenti, siamo una realtà complessa basata sulla cerealicoltura, sulle mucche da latte, sugli ortaggi nelle campagne veronesi, rodigine, ferraresi e mantovane, questo per circa 1.500 ettari. Possediamo un migliaio di pecore e capre vocate rigorosamente alla produzione di latte, inoltre dai cereali ricaviamo il biogas".

Ci parli dell'attività pastorale

"Noi – prosegue – possediamo tre malghe alpine: Selva di Prognon (Giazza, Lessinia), Susine (Brentonico, vicino a Mori di Trento), Novezza di Ferrara (Monte Baldo, Verona). Pascoli, caseifici, degustazione di specialità tipiche, agriturismo, ski in malga con formaggi, escursioni, trekking, mountain bike, nordic walking, didattica ambientale. In tale contesto sono strategiche le pecore da latte, tirate su con amore e rispetto dalla mia famiglia e dai dipendenti. Le nostre greggi svernano nella Bassa Veronese e in Alto Polesine tra Po e Adige, ciò da ottobre a fine maggio nel segno della transumanza, ma usiamo anche i Tir; poi il ritorno in montagna nelle nostre malghe. Da febbraio quasi 500 capi stanno svernando a Castelnovo Bariano, essendo arrivati transumanti da Giazza attraverso gli argini dell'Adige sino a Legnago, poi il Bussè e il Po altopolesano; prevediamo anche puntate nel mantovano".

Altri dettagli

"Le nostre pecore sono tutte vaccinate e controllate, chiediamo i permessi di transito e di permanenza ai Comuni e all'autorità sanitaria, non disturbiamo nessuno, frequentiamo zone periferiche non coltivate e vocate all'erba, specie le arginali e le golenali. Si lavora meglio in montagna in spazi più ampi, ma anche sul Po lombardo-veneto non ci possiamo lamentare. Abbiamo qui due pastori da una vita, quattro cani di razza pastore belga adatti alle greggi, le pecore sono sempre all'aperto e recintate di notte, di giorno facciamo anche una ventina di km al pascolo. I due dipendenti hanno roulotte, veicolo commerciale e fuoristrada ma io vengo quasi ogni giorno per le varie necessità. La pastorizia sta sparendo in generale ma se uno sa fare il suo mestiere ed ama gli animali la stessa può avere un futuro, pur se la burocrazia non ci dà certo una mano".

Il sindaco Massimo Biancardi conosce assai bene il signor Giampaolo Faben ed osserva che "s'è sempre collaborato senza problemi. Le pecore di Faben sono conosciute da tutti: scuole, bambini, adulti, una vera attrazione ecologica. Onore comunque alla managerialità di questo bravo imprenditore cereano".